Progetti per il futuro
Ha ancora senso fare progetti? Mi spiego; se prendiamo il mondo così com’è, senza lo strascico dell’abitudine, vale ancora la pena progettare un futuro?
Tutti gli anni, tornati dalle vacanze, ci si interroga sulla propria vita e su quanto sia affine a quella che desideriamo davvero. Le vacanze, se non altro per il fatto che ci permettono momenti di vuoto, lasciano spazio al dubbio e colorano di giallo, verde e azzurro le speranze di un cambio vita.
Quest’anno un pensiero nuovo è germogliato tra i vestiti che sapevano di spezie, quando ho aperto la valigia per fare una lavatrice, appena rientrato a casa.
Ha ancora senso fare progetti?
Mi spiego; se prendiamo il mondo così com’è, senza lo strascico dell’abitudine, vale ancora la pena progettare un futuro?
Per quanto la parola “futuro” invada qualsiasi contesto nella comunicazione contemporanea, dalla pubblicità alla politica, dall’educazione all’economia, dalla tecnologia alla cultura, mi sembra che la nostra sia la prima vera civiltà senza futuro.
Con “senza futuro” non intendo temporalmente, ma concettualmente.
Nessuno, nemmeno i pensatori illuminati, i membri del gruppo Bilderberg, gli scienziati di frontiera; nessuno ha una chiara idea di cosa o come sarà il futuro.
La nostra epoca, la più avanguardista e tecnologicamente avanzata di sempre, si è spogliata del dopo, ovvero della destinazione di ogni suo sforzo. Stiamo viaggiando, velocissimi, nell’ignoto spazio profondo.
A voltarci un poco indietro, non è mai stato così. Fin dalla nascita dell’agricoltura, e quindi degli insediamenti antropici stabili, il futuro è stato più o meno programmabile, mai imperscrutabile.
Certo l’inaspettato ha sempre sparigliato le carte del destino, ma se c’era un luogo in cui andare a riprendersi il presente, quello era il futuro.
E poi il futuro, soprattutto nella cultura occidentale e quindi cristiana e quindi dominate, è la salvezza. Il transito nel presente è soltanto un travaglio di espiazione.
Oggi il paradigma non è più valido: l'avvenire è minacciato dai tre cattivoni del film Marvel che è diventato il nostro mondo:
Clima
Guerra
Economia
In questo anfratto della storia che abbiamo avuto la fortuna di abitare, stanno convergendo almeno 3 mega-macro-super problemi molto difficili da gestire.
Le condizioni climatiche sempre più imprevedibili, lo spettro della terza guerra mondiale mai stato così concreto (non dico che sia imminente, ma quantomeno un terzo conflitto globale non è più concepito come impossibile) e l’economia schizofrenica e umorale che ha contratto cicli economici decennali nell’arco di pochi mesi, stanno contribuendo a creare uno scenario di incertezza e tensione che apre la strada, ancora una volta, all’insondabile.
Per cui, mentre ancora trattengo qualche camicia e qualche calzino in mano, fissando l’oblò della lavatrice, mi sono seriamente chiesto se non sia il caso di abbandonare l’illusione del controllo e, con il giusto grado di consapevolezza, lasciare che la vita agisca e inventi lei i prossimi capitoli.
La scelta non è semplice, fissati come siamo nel voler lasciare un segno di questo transito terrestre, nel voler cercare di cambiare le cose, nel volerle migliorare, nel voler salvare il pianeta, nel voler scoprire nuovi mondi, nel voler trovare la cura di una malattia, nel voler andare un po’ più indietro per capire cosa c’era all’inizio del tempo, nel voler fare figli e nel vederli crescere e realizzarsi, nel voler prosperare economicamente attraverso la sostenibilità, nel voler vivere più a lungo aggrappandoci a quell’entusiamo vitale che ci ha permesso di diventare padroni del mondo, partendo come esserini insignificanti in un angolo remoto della Savana.
Forse dovremmo imparare a progettare il futuro lasciando spazio a un’anticamera d’improvvisazione, un retro-palco dove gorgoglia l’imprevisto e fermenta la novità, che questa ci piaccia o ci distrugga.
Gli imperdibili 🗞
A proposito dell’arte del dolce far niente • ITA
La rivoluzione degli algoritmi nel mondo dell’arte • ITA