Instagram è Platonica
L’abitudine alla bellezza assoluta ci rende dipendenti e al tempo stesso inadatti alla competizione, chiusi come siamo nei nostri corpi così “normali”.
La scorsa settimana la mia ragazza mi ha portato a teatro, a sentire Umberto Galimberti. La sua conferenza è partita, come sempre, dalla Grecia antica per passare al cristianesimo e infine analizzare il presente.
Non so come, ma ieri sera ci siamo ritrovati a parlarne durante la cena, e quindi ho ripreso gli appunti che avevo scritto qualche anno fa sulla Storia della Filosofia di B. Russell, per rinfrescarci le “idee” su Platone.
È stata una serata interessante perché, anziché vedere un film o una serie tv, ci siamo messi a leggerli insieme e a fare bizzarre comparazioni tra la Grecia classica e la contemporaneità.
Il parallelismo più singolare che è emerso è sicuramente quello tra Platone e Instagram. Senti qua.
La Teoria delle Idee è forse quella più pop e conosciuta di Platone. Più o meno chiunque la conosce; è quella che prevede l’esistenza di un mondo delle idee dove risiedono i concetti immutabili e perfetti delle riproduzioni mortali e imperfette che invece vivono nel mondo sensibile abitato dagli uomini (ma anche da tutti gli altri esseri viventi eh).
Prendiamo un gatto. Banalizzando, Platone crede nell’esistenza di un concetto perfetto ed eterno di Gatto, lassù, nel mondo delle idee, e poi nella riproduzione limitata e caduca dei singoli gatti che abitano il nostro mondo. Lo stesso discorso vale per ogni altra cosa. Tutte tutte tutte.
Può sembrare un pensiero quasi bambinesco e sciocco, ma è il concetto filosofico che ha maggiormente plasmato la teologia occidentale, a partire da Sant’Agostino in poi. In fondo, cos’altro è limitatezza della vita terrena rispetto alla beatitudine dell’aldilà, nella teologia cristiana?
Ma veniamo a Instagram, ovvero il luogo dove le divinità pagane contemporanee si mostrano alla plebe.
Nella contrapposizione tra l’idea perfetta e la riproduzione imperfetta, si può dedurre la contrapposizione platonica tra realtà e apparenza.
In questo senso Instagram, come i social in generale, mi sembra la trasposizione contemporanea della teoria platonica: la limitatezza delle nostre vite viene sostituita nel palcoscenico sociale dall’idea perfetta della vita stessa.
Quello che avviene nel mondo astratto di Instagram è la certosina e meticolosa costruzione dell’idea di perfezione che ognuno ribadisce nello sforzo di partecipazione al circo dell’apparenza senza falle. Le star che ci appaiono costantemente in uno splendore intaccato dalle impurità dell’esistenza sono idee non attuabili nella realtà, nemmeno da loro stesse, come testimoniano i molti casi di influencers in burnout completo, perché scollegati dall’idea che hanno generato e la realtà della loro vita così drammaticamente reale.
A questo punto abbiamo un problema: la nostra società è sovraesposta alla bellezza. Ce n’è semplicemente troppa, dai corpi ai paesaggi dal lusso al design dal cibo al porno. Gli inglesi dicono overloaded to beauty.
L’abitudine alla bellezza assoluta ci rende dipendenti e al tempo stesso inadatti alla competizione, chiusi come siamo nei nostri corpi così “normali”.
Esponendoci costantemente al mondo delle idee su Instagram ci sentiamo terribilmente imperfetti nella vita reale, che però rappresenta ancora l’unico campo da gioco per tutti quanti.
L’idea ci appare come reale e raggiungibile, la realtà inizia a starci stretta. Non ha caso il social di Zuckerberg ha messo al bando tutti i filtri che alludono alla chirurgia plastica.
Come cura a questa overdose platonica ho iniziato a leggere Essenzialismo, la disciplinata ricerca del meno di Greg McKeown. Promette bene, magari te ne parlo la prossima volta.
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