Trovati un maledetto scopo nella vita
La via per la felicità è meno semplice di quello che sembra, perché rispecchia la complessità della vita, non riconducibile a schemi e regole predeterminate.
Il 2022 è stato per me un anno di ricerca. Mi sono messo in testa di trovare, all’interno della letteratura occidentale, le tecniche più avanzate per il raggiungimento della felicità. Il genere dei libri di self-help o crescita personale è letteralmente esploso nell’ultima decade: come se tutto a un tratto la nostra coscienza si fosse risvegliata dal torpore consumistico dell’edonismo reaganiano e ci fossimo trovati di fronte a uno specchio intransigente e beffardo, vedendoci per ciò che siamo. Vuoti.
Quindi, come si diceva, ho letto e studiato i cosiddetti must-read dell’auto-realizzazione, per tracciare le coordinate del successo e dell’affermazione di sé nella nostra epoca.
Un elenco (non esaustivo) di quello che ho letto, come indice bibliografico:
Tools of titans - Tim Ferris
The 4-hour work week - Tim Ferris
The 4-hour body - Tim Ferris
The 5 AM club - Robin Sharma
Atomic habits - James Clear
How to fail at almost everything and still win big - Scott Adams
12 Rules for Life - Jordan Peterson
Beyond order - Jordan Peterson
Thinking fast and slow - Daniel Kahneman
Digital minimalism - Cal Newport
Essentialism - Greg McKeown
The subtle art of not giving a fuck - Mark Manson
How to change your mind - Michael Pollan
Think like a monk - Jay Shetty
Ego is the enemy - Ryan Holiday
The laws of human nature - Robert Greene
The 48 laws of power - Robert Greene
Ikigai - Garcia e Miralles
The power of now - Eckhart Tolle
Man’s search for meaning - Viktor Frankl
A questi si può aggiungere una quantità indefinita di articoli con titoli dall’aspirante al promettente come: Capisci chi sei davvero facendo queste cose per 7 giorni, Come vivere una vita piena, Le 5 tecniche per svegliarti con il sorriso ogni mattina.
I titoli me li sono inventati, ma hai capito il genere.
Ho preso appunti diligentemente e trovato connessioni e riferimenti più o meno vaghi ad alcune opere classiche come l’Etica Nicomachea di Aristotele, le Meditazioni di Marco Aurelio, L'Essere e il nulla di Sartre o la Critica della ragion pura di Kant.
Di tutta questa montagna di concetti, schemini e tabelle, sono arrivato alla sintesi estrema dell’insegnamento, riducendo ogni spicchio di significato a una sola frase: trova il tuo scopo nella vita.
Non vorrei semplificare o sminuire tutta la letteratura scartabellata, bensì ho concentrato, come in un buco nero, tutte le variabili gravitanti intorno a un concetto primigenio.
Da quel seme filosofico, infatti, si diramano tutte le estensioni della realizzazione personale: identità, lavoro, relazioni, maestria, carisma, sicurezza, attrattività, fiducia, ricchezza, longevità.
Volendo andare più a fondo, mi sono chiesto: cosa si intende esattamente per scopo? Ci provo: la propria ragione d’essere, ciò per cui siamo nati, il significato finale di ogni nostra azione, quasi un movimento divino verso la completezza, la pienezza e la sommità di un’esistenza.
Effettivamente, per come viene presentato, sembra davvero una panacea per la risoluzione di ogni conflitto interiore, un bagno di benedizione, un magnete di prosperità.
Il problema è che nessuno ti dice come trovarlo questo maledetto scopo, ed è qui che la macchina retorica si inceppa. Se la chiave della felicità è un’azione insondabile e inesplicabile, tutta l’impalcatura che ci sta sopra diviene estremamente fragile.
Certo, ci sono diverse tecniche che possono aiutarci a fare qualche passo di avvicinamento (psicanalisi, meditazione, mappe mentali, psichedelia, life design…) ma in definitiva si tratta di una ricerca a tentoni nel buio inesplorato di ciò che siamo. Non esiste un metodo che vale per tutti.
La maggior parte delle persone che reputo degne della mia profonda stima, sono inciampate, casualmente, nel loro scopo. Oppure, per la restante parte, hanno semplicemente seguito il piacere, naïf ed epicurei che non sono altro.
Dunque, qual è il posto per la motivazione e la determinazione, nell’inciampo e nel piacere?
Se poi ci voltiamo verso la generazione dei miei genitori e nonni, è facile notare quanto questi problemi fossero superflui. Cos’era il loro scopo se non il saldo mantenimento della famiglia, la diligente risposta alle armi, l’andare a bottega nelle orme degli avi, il trasferimento forzato verso la terra delle possibilità?
E in effetti ho letto che (ma non ricordo dove) anche la depressione è figlia del benessere. Le popolazioni che lottano per il sostentamento non riescono a trovare spazio per il dubbio, il rimorso, il diniego, l’apatia, la noia. Così, allo stesso modo, credo che la motivazione e l’auto-realizzazione siano gemelle della depressione, figlia della stessa madre benestante.
Ma che dobbiamo fare, noi ultimi benedetti dal sogno capitalista, con questo fardello travestito da privilegio?
Posso dirti quello che io stesso sto provando. Sto cercando di allenare la mia sensibilità, qualcuno direbbe il barometro delle emozioni, a seguire con spirito rabdomantico le cose che scorrono senza ostacoli. Quando entro nel cosiddetto flusso, percepisco una consequenzialità spontanea e automatica degli eventi. Tutto scorre in modo naturale e si autoalimenta con l’onda precedente. Quando questo succede, ne prendo nota. E quando la giostra si ferma cerco di ricrearne le premesse per farla ripartire.
Quando sono lontano dal flusso, ovvero quando avverto blocchi e forzature anziché scivoli e trampolini, lo annoto allo stesso modo, studiando le premesse e le caratteristiche, per evitarne il ritorno.
Questo vale per tutto: attività lavorative, persone, cibo, luoghi, meteo, colori, suoni. Si potrebbe definire il setaccio del preferito, o del preferibile.
Le mie giornate oscillano ancora tra l’una e l’altra fase, però sto prendendo sempre più coscienza dei trigger positivi. E all’interno di questo pattern di emozioni, sto individuando ciò che davvero mi fa stare bene, e sto notando che in effetti c’è un minimo comune multiplo di fondo. Sarà che mi avvicinando al mio scopo?
Vorrei fare ancora un salto in avanti. Siamo sicuri che lo scopo sia uno e per sempre? Nell’evoluzione di noi stessi, della specie e dell’ambiente in cui viviamo, può lo scopo essere l’unica costante invariabile del sistema?
Mi sono fatto questa domanda pensando a quanto l’immagine di me stesso fosse cambiata durante questi primi 35 anni. Fino a che punto posso dire di essere la stessa persona che ero a 10 anni? E a 18 o 25? Sono cambiati gli stimoli, le persone, le conoscenze, le disponibilità economiche, il mondo.
Voglio condividere due articoli che riprendono questa domanda. Il primo, del New Yorker, intitolato: Sei la stessa persona che sei sempre stato? si interroga su quanto a lungo possiamo considerarci la stessa persona, se poche cose identitarie permangono con il passare del tempo.
Il secondo intitolato: Perché dovresti cambiare vita ogni dieci anni? invece sonda la possibilità, in una società sempre più fluida e veloce, di cambiare radicalmente vita, lavoro, e quindi anche scopo, ogni dieci anni, per raggiungere una maggiore pienezza e soddisfazione (anche se può sembrare paradossale).
Stiamo vivendo un epoca di puro trasformismo, pertanto credo sia sempre più necessario prepararsi ai cambiamenti radicali e repentini che accadranno nelle nostre vite. Anche il nostro scopo dovrà farci i conti.
La felicità è una faccenda sempre più complessa: sembra di poterla toccare, ma quando ci si avvicina si scopre che era l’ennesimo miraggio. E allora si continua a cercare.
Ma la ricerca della felicità, non è stessa la felicità?
Immagina che sto bevendo un Campari.
Mare mare mare voglio annegare,
portami lontano a naufragare,
via via via da queste sponde,
portami lontano sulle onde.
Summer on a solitary beach
F. Battiato.
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