Non so se sta capitando anche a te, ma nelle ultime settimane il mio feed di Instagram è inondato da pubblicità di fitness app. Sembra che mi stiano sussurrando all’orecchio, stai veramente pensando di partire per le vacanze con quel fisico che ti ritrovi?
Questo fenomeno mi ha suggerito due cose:
Cerchiamo di mettere una pezza ai nostri problemi sempre all’ultimo secondo, e chi si occupa di marketing lo sa.
L’estate è la stagione della perfezione, un luogo più mentale che fisico, che ognuno di noi cerca di arredare con la malta estratta dai sacrifici dei mesi precedenti.
E qual è il luogo migliore in cui suggellare con la targa commemorativa della meraviglia, le nostre conquiste di benessere vacanziero? Su Instagram, naturalmente., il social della perfezione a tutti i costi. Ne ho già parlato su questa uscita chiamata Instagram è platonica.
Conosco molte persone che non pubblicano nulla per l’anno intero, con l’eccezione di una pista da sci a Gennaio, e poi d’estate riemergono con le loro gambe abbronzate di fronte alla spiaggia, facendoci ascoltare lo sciabordio delle onde di Borgio Verezzi, spiattellando cocktail e gusci di linguine affogate in un piatto d’olio al tramonto #lasciatemiqui
Qualche giorno fa sono andato a fare un “forest bathing”, in occasione di un ritiro aziendale, presso l’Oasi Zegna vicino a Biella, in Piemonte (si è rivelato meno click-bait di quanto si potrebbe pensare). In pratica, un’immersione nella natura facendo dei lavori di stimolo sensoriale e di interazione con la natura.
Lavorando sul respiro, sulla vista, sul tatto e sull’udito abbiamo percorso in circa tre ore non più di 300 metri. I nostri occhi passavano da una panoramica a campo aperto al macro zoom sulle venature di una foglia precocemente ingiallita, il canto degli uccelli si fondeva con gli aerei diretti a Malpensa e con il suono dei nostri passi che calpestavano i rami secchi sul tracciato. Il respiro si faceva più profondo e silenzioso, e abbiamo fatto conoscenza con le cicatrici degli alberi, riuscendo quasi a intuirne la storia.
Durante i primi momenti di esplorazione, avvertivo ancora il solletichio del telefono che mi invitava a fare una foto suggestiva, a prendere nota di quello che stavo “provando”, a registrare le conversazioni allegre degli uccelli appollaiati sui rami sopra di me. Volevo tenere traccia, volevo documentare.
Poi la coscienza profonda ha iniziato a trascendere l’aspetto. Ho smesso di voler tradurre le emozioni e le ho fatte semplicemente trascorrere, accettandone la fugacità e l’inconsistenza.
Tornando in albergo, quando una nube confusa di stimoli non setacciati ricadeva placidamente come polvere nera, in uno dei cortili di Zafferana Etnea dopo un’eruzione notturna, mi è tornato alla mente il concetto di Wabi-Sabi, che avevo sfiorato una decina di anni fa in qualche lettura.
Sono andato a rispolverarlo, e ho ritenuto che ne valesse la pena approfondirlo qui con te.
Wabi-Sabi, come ogni concetto giapponese, sfugge alle rigide definizioni occidentali, preferendo incunearsi nelle sfumature indefinite e vaghe, meglio tradotto da un’immagine evocativa che dalle parole.

Volendone trovare un significato, potrebbe essere: il sentimento di bellezza che si prova di fronte all’imperfezione e all’impermanenza. Di conseguenza, ci invita ad accettare l’autenticità, di noi stessi e di quello che ci circonda, caratterizzata proprio dagli elementi imperfetti e dalla loro continua mutevolezza.
Da questo punto di vista, anche le giornate di merda acquisiscono una grazia tutta loro, così come le piccole imperfezioni del nostro fisico o le increspature meticce sedimentate nel nostro passato.
Nulla dura, nulla è finito, nulla è perfetto.
Infatti, anche quello che chiamiamo IO, nel continuo flusso di mutazione interna del corpo e nella costante transizione della coscienza, è un elemento profondamente wabi-sabi.
Qualsiasi cosa È, sarà ERA, ha scritto il monaco Bhikkhu Ñanamoli, in una particolare assonanza con la dottrina del divenire di Eraclito.
Ora, immagina il tuo presente come un giardino, dove ci sono piante da frutto, fiori e prato. Per renderlo gradevole devi costantemente lavorarci dentro, annaffiandolo e piantando nuovi semi, ma anche potandolo, pulendolo e infine accettando che le foglie cadano, che i rami si spezzino sotto una grandinata estiva, che la frutta venga bacati dai vermi, che le api ci facciano un nido, che le zanzare ti mordano mentre tagli l’erba, che compaiano delle chiazze bruciacchiate dal sole nel punto in cui non sei riuscito a bagnare.
Dentro un perpetuo valzer di bellezza e decomposizione, fulgore e rinsecchimento, luce e tenebra. Non esiste l’una, senza l’altra, come nel TAO.
Dunque. Questa estate prova ad accettarla così com’è, senza desiderare che sia perfetta. Prova a documentarla di meno e a lasciarla scorrere di più sulla tua pelle. Lascia che solchi qualche segno che testimoni il suo passaggio attraverso la vita, non attraverso la sua rappresentazione instagrammabile.
Lasciati cadere qualche foglia ingiallita, lascia che le formiche facciano un giro sul tuo braccio, mostrati al mondo nella tua impermanenza, nella tua unicità. D’altronde, Essere normali non esiste.
Passa delle belle vacanze, qualsiasi cosa esse siano. Noi ci vediamo ancora la prossima settimana e poi farò una pausa fino al ritorno dalla via Francigena.
Consigli di lettura
Da un po’ di tempo ho iniziato a usare Notion per organizzare qualsiasi cosa, per prendere note, per scrivere la newsletter, per creare archivi e database. Uno dei maestri di Notion in Italia è Danilo D’Amico, che peraltro scrive la newsletter Kit di Sopravvivenza per Creator, che ti consiglio.
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