Cosa fare, concretamente, per Gaza?
Una lista di azioni concrete, testi da leggere e organizzazioni da sostenere per diventare parte attiva contro il genocidio in atto nella Striscia di Gaza.
Oggi si va decisamente fuori tema, e potresti anche non trovarti d’accordo con tutto quello che leggerai, ma l’orrore a cui stiamo assistendo non può più essere ignorato.
Sono schifato e inorridito da quello che sta succedendo a Gaza. I corpi senza vita, i palazzi polverizzati, la fame, la violenza gratuita, la gamification della guerra da parte dei militari.
Sono rimasto deluso e disilluso nell’assistere alle tappe del Giro d’Italia, del Tour de France e della Vuelta di Spagna con una squadra chiamata Israel-PremierTech che, nonostante le continue proteste, si rifiutava di abbandonare le competizioni in favore dello sport e del diritto alla pluralità, perseguendo l’intento esplicito di ripulire l’immagine di Israele attraverso la “diplomazia sportiva”.
Ma soprattutto, quello che mi lascia più attonito è l’impunità con cui Netanyahu continua ad agire. Ogni volta che un ospedale viene bombardato, che centinaia di migliaia di persone vengono fatte morire di fame, che un convoglio umanitario viene bloccato, ci si aspetterebbe una reazione internazionale, una presa di posizione, un limite imposto. E invece, nulla. Silenzio, imbarazzo, comunicati anodini di “preoccupazione”, in una complicità globale fatta di immobilismo e calcoli geopolitici.
Discutendo di tutto questo, io e la mia compagna ci siamo messi a ragionare su cosa si potesse fare di concreto per il genocidio in atto: oltre a dimostrare la propria vicinanza, a condividere qualche storia, a cercare di argomentare le nostre motivazioni con gli scettici. Forse anche tu ti sei trovato o trovata a chiederti: cosa posso fare davvero, oltre a indignarmi dietro uno schermo?
Da quella riflessione, e da quella domanda, è nato l’articolo che stai leggendo, in cui ho cercato di raccogliere una lista di azioni concrete e applicabili subito per sostenere la causa palestinese: dalle più immediate alle più impegnate, ognuno potrà scegliere in che modo attivarsi.
Donazioni: aiutare subito, senza intermediari
Il primo gesto concreto è il più semplice, ma anche il più urgente: donare.
Come ho letto in una recente insta-story del collega
“va bene condividere le storie, ma volevo ricordarvi della sorprendente efficacia del soldo” (o qualcosa del genere, sto andando a memoria) per suggerire una donazione all’organizzazione Mediterranea.Non dobbiamo pensare che il nostro contributo sia irrilevante. Ogni cifra, anche piccola, può tradursi in medicine, acqua potabile, un pasto caldo, un rifugio di emergenza.
Le organizzazioni più affidabili, che hanno presenza storica sul territorio, sono diverse. Tra queste:
Emergency: La storica organizzazione di Gino Strada, che offre assistenza sanitaria di base alla popolazione della Striscia di Gaza.
UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, che fornisce istruzione, assistenza sanitaria e aiuti di base.
PCRF (Palestine Children’s Relief Fund), focalizzato sui bambini, che finanzia cure mediche e interventi di emergenza.
HEAL Palestine, impegnata in salute, educazione e sviluppo.
World Food Programme, che lavora per garantire accesso al cibo nelle aree più devastate.
Palestine Red Crescent Society, attiva sul campo nelle emergenze.
Queste donazioni hanno un effetto immediato: trasformano la nostra indignazione in nutrimento, in cure, in riparo. È il modo più diretto per passare dalle parole ai fatti.
Non che voglia flexare, ma per dimostrare che non predico bene e razzolo male, queste sono le mie donazioni (ora anche con piccoli contributi mensili) tramite Revolut a Emergency e UNHCR.
Attivismo: la pressione politica che non si può ignorare
Ma il soccorso immediato, da solo, non basta. Perché mentre curiamo le ferite, qualcuno continua a infliggerle. E qui entra in gioco la dimensione politica.
Se le donazioni aiutano a breve termine, l’attivismo politico serve a lungo termine.
La macchina della guerra non si fermerà mai soltanto grazie agli aiuti umanitari. Serve una pressione costante, internazionale, che spinga i governi a interrompere le forniture di armi, a riconsiderare i rapporti economici, a votare in modo diverso nelle sedi internazionali.
E questa pressione nasce da noi cittadini. Scrivere al proprio parlamentare, al proprio sindaco, firmare petizioni, partecipare alle moltissime manifestazioni, organizzare eventi di sensibilizzazione: sono azioni che, sommate, influenzano le agende politiche. Nessun politico può ignorare un movimento di opinione costante e crescente.
Molte associazioni locali organizzano inoltre raccolte di cibo, medicine, vestiti, materiale scolastico da inviare nella Striscia (vedi la Global Sumud Flotilla). Altri gruppi hanno bisogno di volontari per gestire logistica, comunicazione, traduzioni, campagne. Non è necessario “partire per Gaza”: anche restando nella propria città si può avere un impatto tangibile.
Boicottaggio: il potere del portafoglio
Spesso sottovalutiamo quanto le nostre scelte di consumo siano politiche.
Ogni volta che compriamo un prodotto, stiamo finanziando una filiera. E se quella filiera è complice di violazioni dei diritti umani, il nostro denaro diventa carburante per l’ingiustizia.
Il movimento BDS (Boycott, Divestment, Sanctions) propone da anni di interrompere il sostegno economico a imprese che traggono profitto dall’occupazione o dalla colonizzazione. Non si tratta di un’azione simbolica: i boicottaggi hanno già avuto impatti concreti su diverse aziende, costringendole a riconsiderare le proprie attività.
Alcuni esempi ricorrenti: i cosmetici del Mar Morto come Ahava, i marchi alimentari che operano nelle colonie, le grandi multinazionali che mantengono partnership con il settore militare israeliano.
Ti consiglio di consultare questa lista di Boycott-Israel.org e questa lista Ethical Consumer per conoscere le principali aziende e prodotti da evitare.
Te ne cito una manciata tra le principali e più conosciute in Italia:
Coca Cola e Nestlè (con i rispettivi sotto-brand), HP, Intel, Puma, AirBnB, Booking, Wix, AXA. Se puoi, evitale.
Il boicottaggio si traduce anche negli investimenti, ma qui la sfida si fa molto più difficile. Ad esempio, nei principali indici (e quindi investendo nei relativi ETF) come S&P500 o Nasdaq non si possono scorporare specifiche aziende.
Questo significa che, investendo nel classico S&P500 stiamo indirettamente dando fiducia e liquidità a molti colossi nella lista di cui sopra. Su questo punto prometto di fare un passaggio con il mio amico e consulente finanziario Filippo (stranamente alieno alla tipica indifferenza morale della finanza) e se verranno spunti interessanti ve li condividerò.
Divulgazione: dare voce a chi non ne ha
Uno degli strumenti più potenti che abbiamo è la narrazione.
Condividere storie, testimonianze, reportage significa rompere il muro dell’indifferenza e della disinformazione. Significa umanizzare ciò che altrimenti resta solo un numero di vittime in un telegiornale.
Ecco alcuni dei migliori profili instagram da seguire per conoscere e condividere:
@motaz_azaiza: Fotografo/documentarista palestinese, le sue immagini raccontano la vita sotto bombardamenti, distruzione, resilienza.
@wizard_bisan1: Giornalista, filmmaker (donna); combina video dal campo con testimonianze, storie personali, spesso usa la formula “I’m still alive” per far capire la pressione costante.
@eye.on.palestine: Account che documenta diritti umani falcidiati, fatti che spesso non compaiono nei media mainstream; aggiornamenti dal campo, immagini molto forti.
@letstalkpalestine: Conoscenza, educazione, risorse (analisi, fatti, report) per chi vuole capire e non solo indignarsi; aggrega contenuti di base e approfondimenti.
Il fronte legale: diritti umani e giustizia internazionale
Non dobbiamo dimenticare che esistono anche strumenti legali internazionali.
Organizzazioni come Amnesty International, Human Rights Watch e diverse ONG palestinesi lavorano per documentare violazioni, raccogliere prove e portarle davanti a corti e tribunali. Sostenere queste organizzazioni, sia economicamente che amplificandone i rapporti, significa rafforzare la possibilità che un giorno ci sia giustizia.
A questo proposito, ho scaricato e letto il report Anatomia di un genocidio di Francesca Albanese. Leggere le fonti dirette, senza le semplificazioni di post e articoletti, talvolta fa tutta la differenza del mondo.
Educazione: coltivare consapevolezza a lungo termine
Infine, ma non per importanza, c’è la dimensione dell’educazione personale.
Studiare la storia della Palestina, leggere testi accademici, ascoltare voci informate, confrontarsi con prospettive diverse: tutto questo ci rende cittadini più consapevoli, meno manipolabili, più capaci di argomentare.
La conoscenza è un antidoto contro l’indifferenza. E un movimento di persone informate è molto più difficile da silenziare rispetto a un’ondata di indignazione superficiale che si spegne dopo pochi giorni.
Una mini bibliografia di partenza:
La guerra dei cento anni alla Palestina (Khalidi)
La questione palestinese (Said)
La pulizia etnica della Palestina (Pappé)
Un documentario: 5 Broken Cameras (2011, Emad Burnat)
Un film: No Other Land (2024, collettivo israelo-palestinese)
Se non l’hai già visto in diretta, recupera il reportage di Diego Bianchi trasmesso su Propaganda Live, da Gaza, uscito venerdì scorso 12 settembre 2025, su La7.
Hai altre idee, consigli, esempi? Sarei felice se me li condividessi 🙏🏻