Sofferenza e desiderio (o della scelta del dolore migliore)
Scopri come trasformare il dolore in opportunità di crescita. Un'analisi profonda sulla natura del desiderio umano e sull'importanza di scegliere consapevolmente quali problemi affrontare per vivere.
Una sera di tanti anni fa (una ventina direi), seduto fuori dal mitico Giancarlo sui murazzi di Torino, mi ritrovai a vivere un momento strano, a metà tra la nebbia alcolica e la rivelazione mistica. Chiamalo come vuoi, ma ancora oggi lo considero fondamentale per la mia comprensione dell'esistenza umana. Era una di quelle serate che puzzavano di ormoni e gioventù: birre riscaldate, gin tonic scadenti, mille sigarette che impastavano con arabeschi di fumo grandi discorsi idealisti e confusi. Tutt’intorno, schiamazzi e risate, musiche accavallate dei locali l’uno addosso all’altro, con la paludosa pacatezza del Po a fare da sfondo a quell’umanità funambolica.
Stavo fumando anche io, perso in qualche arringa sbandata sulla perdita di fiducia nel futuro della nostra generazione, quando improvvisamente mi colse un'irresistibile voglia di accendermi una sigaretta. Un’altra. Mi dissi di scatto, guardandomi la mano con la cicca accesa: “Stai già fumando, coglione." Eppure no, mentre stavo fumando mi volevo accendere un’altra sigaretta. Una nuova, diversa, fresca.
In quel momento apparentemente banale e cervellotico, compresi qualcosa di profondo sulla natura del desiderio umano. Quella sera intravidi, per la prima volta, la trappola sottile ma implacabile in cui la mente umana si dibatte continuamente: l'elaborazione incessante del desiderio, il consumo vorace di ogni esperienza e l'impossibilità strutturale di trovare soddisfazione duratura.
Che differenza c'è, mi chiesi allora e mi chiedo ancora oggi, tra il volere una sigaretta nuova mentre ne fumi una vecchia, e il desiderare un telefono nuovo mentre ne hai già uno perfettamente funzionante in mano? Puoi continuare tu con qualsiasi altro oggetto: automobile, bicicletta, orologio, vestito, gioiello… Nessuna differenza sostanziale, mi pare. Entrambi i desideri nascono dalla stessa matrice mentale, dalla stessa incapacità di stare pienamente nel presente e di trovare completezza in ciò che già possediamo.
Il desiderio, come intuì oltre 2500 anni fa Siddharta Gautama, è l'origine stessa della sofferenza umana. Il Buddha identificò nel desiderio la seconda delle cosiddette Quattro Nobili Verità, riconoscendo che la brama, l'attaccamento e la sete di esperienze sempre nuove sono la radice del dolore e dell’infelicità.
Secondo il nostro illuminato, nessun desiderio, se esaudito, placherà mai definitivamente la fame della mente. La mente è come un fuoco che divora tutto ciò che gli viene dato, ma che non si estingue mai: anzi, più viene nutrito, più diventa vorace.
Una cura universale
Nella nostra epoca, abbiamo sviluppato una pericolosa illusione: quella che esista una medicina per tutto, una cura per ogni dolore, una soluzione per ogni problema. Abbiamo creato una cultura che vede la sofferenza e la debolezza come manifestazioni inequivocabili di arresa e sconfitta. Questa mentalità ci ha portato a credere che l'obiettivo della vita sia eliminare tutti i problemi, raggiungere uno stato di benessere permanente e ininterrotto.
Me ne accorgo in prima persona, soprattutto all’inizio del mio percorso con gli studenti.
Ma questa convinzione non è solo irrealistica, ma anche controproducente. La vera “saggezza” sta invece nell'imparare a scegliere quali problemi o dolori avere nella nostra esistenza. Perché, la qualità dei problemi che scegli determina la qualità del tempo che vivi. Segnatelo da qualche parte.
Dunque, non tutti i problemi sono uguali: esistono problemi di "serie A" e di “serie B”.
I problemi di "serie B" sono quelli che consumano energia senza nutrire l'anima: l'invidia verso il successo altrui, la gelosia che corrode le relazioni, l'arroganza verso un nemico immaginario, la ricerca spasmodica dello status sociale, l'ossessione per l'apparenza. Questi problemi ci mantengono in superficie, ci fanno sprecare tempo prezioso in battaglie che non portano crescita ma solo frustrazione.
I problemi di "serie A", invece, sono quelli che ci fanno evolvere: la ricerca della comprensione dell'esistenza, l'introspezione profonda, lo sviluppo personale autentico, le lotte sociali per un mondo migliore, gli sforzi per la costruzione di una famiglia, le battaglie per cambiare ciò che non va nel nostro tempo. Questi problemi ci sfidano, ci fanno crescere, ci rendono più saggi e più completi come esseri umani.
Il privilegio del dolore
Anche io, oggi, soffro di certi dolori e affronto certi problemi. Ma sono conquiste di dolori e problemi precedenti che ho superato. Per me, è un privilegio poter vivere i problemi che affronto oggi. Questa affermazione può sembrare paradossale, ma seguimi ancora un attimo nel ragionamento per capire che non è così.
Prendiamo la depressione, ad esempio. La depressione è certamente un problema grave del nostro tempo, ma è anche, in un certo senso, un privilegio. Chi può permettersi la depressione? Chi non deve più occuparsi della sopravvivenza quotidiana.
In India, ad esempio, ho visto che la depressione ha iniziato a comparire nelle classi più agiate, quasi come se fosse l’etichetta di appartenenza a un alto grado nella gerarchia sociale. Le classi più povere, non possono ancora permettersela.
Ti faccio una domanda: cosa preferiresti, lottare per la sopravvivenza quotidiana o lottare con la depressione? Milioni di persone nel mondo vorrebbero potersi permettere il "lusso" della depressione, ma non possono perché sono troppo occupate a cercare cibo, acqua, riparo.
Questo NON SIGNIFICA MINIMIZZARE LA SOFFERENZA DI CHI VIVE LA DEPRESSIONE, ma piuttosto riconoscere che anche i nostri dolori più grandi sono spesso il risultato di conquiste precedenti. La depressione può emergere quando abbiamo risolto i problemi più basilari dell'esistenza e la mente, finalmente libera dalla lotta per la sopravvivenza, si volge verso questioni più profonde e complesse.
La mia battaglia personale
Ho vissuto un botto di momenti gravi e difficili. Sono stato abituato ad avere sempre un nemico contro cui combattere, una battaglia da vincere, un ostacolo da superare. Poi, quando ho finalmente iniziato a sistemare le cose, ho sviluppato un male subdolo e persistente. Si chiama anginofobia ed è la paura di soffocare, di morire mangiando.
È stata una lezione profonda sulla natura della mente umana. Mi sono inventato un nemico, concretizzandolo nella stessa fonte di vita, come se mangiando per vivere rischiassi di morire. La mia mente, abituata al conflitto, non riusciva ad accettare la pace. Quando i nemici esterni sono scomparsi, ne ha creato uno interno, trasformando l'atto più naturale del mondo - il nutrirsi - in una fonte di terrore.
Mi ci è voluto tanto lavoro per accettare il fatto che potessi non dover sempre combattere. Ho dovuto imparare che la pace non è un nemico, che la tranquillità non è un pericolo. Ora sto affrontando altri problemi, forse più sottili ma altrettanto significativi, e la mia mente continua a giocare a palla prigioniera, non volendo ancora farsi intrappolare dalla contentezza. Mi sta bene così.
Fatti un’altra domanda
Il dolore, in fondo, è utile e fa parte della biologia umana. Non si può annullare, né si dovrebbe volerlo fare. Il dolore fisico ci avverte quando qualcosa non va nel nostro corpo, ci spinge a prenderci cura di noi stessi, ci insegna a evitare situazioni pericolose. Il dolore emotivo ha una funzione simile: ci indica quando qualcosa nel nostro mondo interno ha bisogno di attenzione, quando è necessario crescere, cambiare, evolvere.
Quindi, la vera domanda che dovresti farti non è "Come posso eliminare tutti i problemi dalla mia vita?" ma “Quale problema scelgo di affrontare?” oppure "Quale dolore voglio patire nella mia vita?" Queste domande cambiano tutto, perché ti trasformano da vittima passiva delle circostanze a protagonista attivo del tuo destino.
Scegliere il proprio dolore significa prendere le redini della propria esistenza. Significa decidere consciamente di affrontare le sfide che ti faranno crescere, anziché subire passivamente i problemi che ti limitano. Significa trasformare la sofferenza da nemica in alleata, da ostacolo in opportunità, scegliendo di diventare padrone della tua evoluzione anziché schiavo del desiderio e dell’ego.