Ti sembra tutto troppo normale?
Sviluppare una propria coscienza critica non è più un lusso intellettuale, ma uno strumento di sopravvivenza e resistenza.
Devo ammettere di aver sentito un certo straniamento, la scorsa domenica mattina, quando è uscita la mia newsletter sul Flow: Come creare lo stato di flusso a comando (che avevo programmato dal giovedì precedente) mentre, contemporaneamente, scoprivo del bombardamento americano sulle basi nucleari iraniane.
Da un lato pubblicavo un articolo sul mio metodo per entrare in uno stato di profonda concentrazione e produttività, dall'altro avvertivo la vertigine e lo scricchiolio di un mondo sul baratro del collasso, in una dissonanza cognitiva sempre più tangibile.

Mi sono chiesto spesso cosa significasse vivere durante una guerra, e mi sono convinto che finché non ti bombardano sulla testa, anche un conflitto mondiale resta qualcosa di lontano; un fatto che c'è, ma non ti appartiene. Credo sia una forma di autodifesa del cervello, messa in atto per diminuire lo stress traumatico che causerebbe l'immedesimazione diretta.
Nel paesino dove vive mia madre, nell’entroterra calabro, ho chiesto a parecchie persone quali fossero i loro ricordi della II Guerra Mondiale: il boato degli aerei da caccia laggiù verso il mare, oppure i dispacci radiofonici ascoltati con un bicchiere di vino al bar della piazza. Nel frattempo, la vita continuava al ritmo delle stagioni, delle coltivazioni e delle processioni.
Poi un giorno il paese fu scosso dal rumore triturante di cingolati sul selciato: due carriarmati americani erano appena apparsi nella piazza di Arena. Non avevano intenzioni bellicose, probabilmente erano lì per una sosta di ricognizione durante la risalita verso nord.
Michele, l’attuale compagno di mia madre, aveva 5 anni quando si avvicinò con passi timidi ma curiosi a quel bestione metallico che sembrava provenire dalla Luna. Un soldato aprì la capote del suo mezzo facendo un gran fragore, e si sporse per salutare quel bambino che si era avvicinato. Lo fece arrampicare sui cingoli, lo chiamò a sé e gli regalò un barretta scura e profumata.
Chocolate! Do you like it?
La guerra per Michele fu soprattutto la scoperta del cioccolato.
Ipernormalizzazione
E noi? Guardando la nostra esistenza durante questi anni turbolenti e schizofrenici, viene spontaneo chiedersi: Sta veramente succedendo di tutto, oppure non succede mai, davvero, nulla?
La risposta ha un nome preciso: ipernormalizzazione. Con questo termine, introdotto per la prima volta nel 2005 dallo studioso Alexei Yurchak per descrivere l'esperienza civile nella Russia sovietica, si vuole descrivere la vita in una società in cui accadono due cose principali:
Le persone vedono che i sistemi di governo e le istituzioni sono rotti.
Le persone continuano le loro vite normalmente nonostante la disfunzione sistemica - portandosi addosso un carico pesante di paura, terrore, negazione e dissociazione - per ragioni che includono la mancanza di leadership efficace e l'incapacità di immaginare come interrompere lo status quo.
L'antropologa digitale Rahaf Harfoush ha descritto perfettamente questa sensazione: "Quello che state provando è la disconnessione tra il vedere che i sistemi stanno fallendo, che le cose non funzionano... eppure le istituzioni e le persone al potere semplicemente ignorano tutto e fanno finta che tutto continuerà come sempre."
Le istituzioni politiche, economiche e sociali che conoscevamo sono evidentemente inadeguate di fronte alle sfide del presente: cambiamento climatico, disuguaglianze crescenti, instabilità geopolitica, rivoluzione tecnologica. Eppure continuano a operare con gli stessi meccanismi, le stesse procedure, gli stessi rituali di sempre.
E noi, spettatori passivi di questo mondo in transizione, ci troviamo intrappolati in una doppia realtà: sappiamo che qualcosa di fondamentale si è rotto, ma non riusciamo a immaginare un'alternativa al presente. Così continuiamo a vivere "come se", mantenendo la finzione di una società funzionante.
È questo il motivo per cui a volte ci sentiamo come in un film di Luis Buñuel, interpretando il ruolo di persone normali in tempi normali, mentre intorno a noi la sceneggiatura del mondo sta cambiando completamente.
Come reagire?
Di fronte a questa consapevolezza, emergono due strade possibili, in realtà complementari e coesistenti:
Da un lato, dobbiamo imparare ad accettare la nostra piccolezza cosmica. L'essere umano è un esperimento dell'universo capace di osservare se stesso, siamo un mezzo attraverso cui l'universo stesso si conosce. Non è affatto detto che siamo il suo esperimento più riuscito, e se non saremo in grado di garantire la nostra sopravvivenza sul pianeta che ci ospita, ci estingueremo. La Terra, nel giro di qualche milione di anni, si rigenererà, rinascerà, tornerà a purificarsi, curerà le nostre ferite.
Imparare a essere in pace con la propria mortalità - personale e collettiva - non è nichilismo, ma liberazione. Non siamo poi così indispensabili nell'economia dell'universo.
Dall'altro lato, però, questa accettazione non deve tradursi in rassegnazione. Se il presente non ci piace così com'è, possiamo ancora provare a cambiarlo. Le scelte che facciamo, individualmente e collettivamente, hanno conseguenze reali. Chi sceglie di non scegliere, chi vota solo per interesse personale o per un immediato ritorno, sta implicitamente permettendo il germogliare di questa storia surreale che si dispiega davanti ai nostri occhi.
In un bolla di fake news, post-verità, deep fake e algoritmi che amplificano le polarizzazioni, sviluppare una propria coscienza critica non è più un lusso intellettuale, ma uno strumento di sopravvivenza e resistenza. Farsi intrattenere passivamente, delegare le proprie scelte, accettare acriticamente le narrazioni dominanti è ormai una forma di ignavia che ci rende complici dell'ipernormalizzazione. Non possiamo più permetterci di essere semplici spettatori della nostra epoca. Quello è stato un privilegio, l’ennesimo di cui abbiamo goduto senza accorgercene.
Ti consiglio la lettura di questo articolo sull’ipernomalizzazione del Guardian, davvero ben scritto.
Ti consiglio anche la visione di questo video con le futuristiche possibilità di ingegnerizzazione del pianeta Terra. Un’altra dissonanza cognitiva, ma ogni tanto è bello sognare ad occhi aperti.