Non essere speciale
Perché il bisogno di sentirti speciale ti sta sabotando. Un'analisi su come il narcisismo mascherato da unicità ci impedisce di vivere davvero.
Questo articolo ti darà fastidio. Probabilmente sentirai un prurito sottocutaneo, quella sensazione sgradevole che si prova quando qualcuno va a toccare nervi scoperti che preferiremmo tenere al riparo dalla luce. Ma è proprio questo il segno che sta iniziando a fare il suo effetto.
Ovviamente io stesso non ne sono indenne, anzi posso confessarti di averlo scritto come una sorta di auto-analisi.
Partiamo dall’etimologia. “Speciale” deriva dal latino specialis, che a sua volta proviene da species - letteralmente “aspetto” o “forma particolare”. Già nel significato è in nuce l’idea di una forma distinta, separata dal resto. Una varietà a sé stante nell’immenso giardino dell’umanità. Partiamo.
L’epidemia della specialità
Tutti quanti, senza eccezioni, ci sentiamo speciali a nostro modo. Non solo le persone vincenti e di successo con i loro trofei e i loro riconoscimenti. Anche i falliti, ugualmente, si cullano nell’idea della propria eccezionalità.
Quando ottieni grandi risultati, ti senti speciale perché superiore agli altri. Il successo diventa la prova tangibile della tua unicità, il sigillo (di matrice calvinista) che certifica la tua diversità dal gregge dei mediocri.
Allo stesso modo: quando tutto va a rotoli, quando la vita ti calpesta come un tappeto logoro, anche allora ti senti speciale. Ti percepisci come il prescelto o la prescelta dell’agonia, il condannato o la condannata d’elezione, quello o quella su cui si accanisce il destino con particolare ferocia. “Non sono come gli altri” sussurri a te stesso mentre contempli le macerie della tua esistenza, “sono diverso, sono maledetto in modo unico.”
È una forma sottile ma pervasiva di narcisismo esistenziale. Se non possiamo essere speciali per aver battuto il record mondiale sui 100 metri, almeno nella sfortuna saremo superiori agli altri. Almeno nel dolore saremo campioni olimpici.
Il circo degli eletti
Per favore, non offenderti, ma guardati intorno: i bambini dotati e talentuosi sono definiti speciali. E lo sono altrettanto quelli con difficoltà di apprendimento. Oggi non si dice più che un bambino ha dei problemi - si dice che è speciale. È come se avessimo creato un universo parallelo dove tutti sono eccezionali, una fuga dalla curva gaussiana in cui la mediocrità è stata bandita per decreto linguistico.
Le superstar si sentono speciali, prescelte dal fato. Altrimenti, si chiedono, perché tutta quella gloria proprio a loro? Anche gli amici e le amiche delle superstar si sentono speciali, come eletti dagli eletti. Similmente, i vittimisti si sentono speciali nella loro sofferenza - altrimenti perché tutte quelle disgrazie proprio a loro? I bianchi si sentono speciali, i neri si sentono speciali (anche qui, non leggere un tentativo di appiattimento delle rispettive ingiustizie sociali, se mi conosci sai che non è da me, quanto piuttosto un invito a riconoscere la trasversalità dell’elezione personale). Gli esclusi si sentono speciali. I fanatici religiosi si credono i depositari di una verità superiore. Quelli che vanno controcorrente si sentono speciali per il loro spirito ribelle. I conformisti si sentono speciali per la loro integrità nel seguire le regole.
È un carnevale infinito di protagonisti, ognuno convinto di essere il centro della propria epopea, del proprio mito di fondazione.
La verità?
Banalmente, la verità è che nessuno è speciale. Fermati un secondo: se stai leggendo queste righe pensando che valga per gli altri ma non per te, beh…stai esercitando proprio ora la tua “specialità”.
La verità è che siamo tutti immersi in quella stessa fanghiglia umana tremendamente imperfetta che ci unisce e ci amalgama come argilla sotto le mani della spinta evoluzionistica.
Chi “sei” è una costruzione mentale arbitraria. La tua identità, quella narrazione coerente che ti racconti ogni mattina guardandoti (o evitando di guardarti) allo specchio, è un’illusione ben confezionata quanto fragile. Dovresti abbandonare l’idea che la tua identità esista come qualcosa di concreto e immutabile.
Nietzsche (ultimamente sono un po’ in fissa con il nostro Federico) lo aveva capito già quando parlava del divenire come potenza superiore all’essere. La celebre frase: divieni ciò che sei enfatizza il processo di continua trasformazione rispetto all’entità fissa in cui siamo convinti di restare sigillati per l’intera esistenza.
I vantaggi dell’ordinario
Sembra controintuitivo, ma questo approccio alla vita ha vantaggi straordinari. Quando rinunciamo alle storie grandiose che ci raccontiamo, siamo finalmente liberi di agire, fallire e crescere senza il peso schiacciante delle nostre aspettative narcisistiche.
Quando una ragazza ammette che “ forse sono veramente una frana nelle relazioni di coppia” diventa improvvisamente libera di porre fine a una storia tossica che si protrae da troppo tempo. Non ha più un’identità da proteggere, non deve restare la compagna di un uomo che la fa sentire una merda solo per dimostrare di essere una donna matura.
Quando uno scrittore riconosce che “forse non sono un maledetto, forse ho solo paura” è libero di essere di nuovo ambizioso. Non ha motivo di sentirsi minacciato dall’idea di inseguire i propri sogni letterari e magari fallire.
Quando una commercialista confessa che “forse i miei sogni non hanno niente di speciale” diventa libera di fare un tentativo serio con quei dipinti stipati dietro l’armadio e vedere che succede, senza il peso paralizzante dell’eccezionalità. Pensaci bene.
Il mio consiglio è semplice: non essere speciale, non essere unico o unica. Ridefinisci i tuoi parametri di giudizio in modi più ampi e ordinari. Non scegliere di misurarti come stella nascente o genio incompreso. Non scegliere di definirti come vittima straordinaria o fallimento epocale.
Al contrario, misurati sulla base di identità più prosaiche: uno studente, un partner, un’amica, un ingegnere, una dottoressa, un fabbro, un’acconciatrice. Basta. Senza aggettivi roboanti, senza superlativi che gonfiano l’ego.
Più è ristretta e rara l’identità che scegli più tutto il resto sembrerà minacciarla. È un principio inversamente proporzionale: maggiore è l’esclusività dell’immagine di sé, maggiore è la vulnerabilità. Definisciti nel modo più semplice e ordinario possibile, e vedrai che il mondo diventerà improvvisamente meno ostile.
Il prezzo della rinuncia
Questo significa dire addio a qualche idea grandiosa della propria meta-narrazione: di essere unicamente intelligente, spettacolarmente talentuosa, irresistibilmente affascinante, o vittimizzato in modi che gli altri non potrebbero neanche immaginare. Significa rinunciare alla convinzione che tutto ti sia dovuto, che il mondo ti debba qualcosa per il semplice fatto di esistere.
Significa rinunciare a quella scorta di esaltazioni emotive che ti ha sostenuto per anni come una droga endogena. Come un tossicodipendente che rinuncia all’ago, quando inizierai ad abbandonare queste fantasie dovrai attraversare una fase di astinenza dall’ego.
Sentirai il vuoto dove prima c’era la sicurezza della tua eccezionalità. Ti sembrerà di perdere colore, sapore, significato. Ma è un passaggio necessario, una morte simbolica.
La grandiosità dell’insignificanza
Dall’altra parte di questo processo ti aspetta qualcosa di inaspettato: la libertà. Non la libertà di essere speciale, neanche quella “di parola” proclamata dagli estremisti di destra. Questa è invece la liberazione più profonda che un essere umano possa sperimentare. Quando smetti di dover dimostrare la tua unicità al mondo, puoi finalmente concentrarti su quello che conta davvero: vivere, creare, amare, fallire, riprendersi, imparare. Senza la pressione costante di dover essere all’altezza di un’immagine gonfiata di sé.
Non c’è niente di romantico in tutto questo, lo so. È un invito radicale alla realtà, alla vita così com’è, senza filtri narcisistici. Perché non devi essere speciale per meritare di esistere. Non devi essere l’eccezione per avere valore.
Forse, chi lo sa, proprio in questa accettazione dell’ordinarietà, troverai la forza per imprimere una direzione nuova alla tua esistenza, senza il peso dell’aspettativa. In fondo, non è niente di speciale.