Due domeniche fa ero sdraiato su una spiaggetta del Lago di Garda. Erano circa le 18 e il cielo iniziava a colorarsi con le dense pennellate arancioni e rosa del tramonto.
C’era quel silenzio lacustre di metà maggio; il ronzio di qualche bicicletta elettrica e sporadiche espressioni estasiate dei pensionati tedeschi in procinto di fare cena: Wunderbar!
Poi quel silenzio crucco venne rotto da alcune risate tamarre e molto più italiche: «Minchia brooo qua spettacolo!».
Cinque ragazzi dalla muscolatura ipertrofica erano appena approdati sulla spiaggetta, portando con sé un armamentario di attrezzatura video-fotografica e da fitness.
Erano lì per scattarsi vicendevolmente una squintalata di fotografie, intenti a fare una verticale sul pelo dell’acqua, con gli schizzetti delle onde che lambivano quei muscoli turriti e steroidei. Una vera bromance dai contorni sfumati, a metà strada tra un Harmony e la finale di Mister Olympia.
Commentando tra me e me, mi sono detto: «Ecco il Turbo Maschilismo».
Quei bros in pose cali, stavano celebrando la versione pompata, esagerata, performativa di una virilità che ha perso completamente il contatto con se stessa. L’ossessione per il corpo perfetto come traduzione di successo, performance, anti-fragilità. Una mascolinità che urla invece di parlare, che mostra i muscoli invece del carattere, che domina invece di proteggere.
Ovviamente, il problema non sono quei cinque ragazzi al lago. Il problema è che dietro di loro c'è un intero ecosistema che li ha convinti che quello sia l'unico modo per essere "veri uomini" nel 2025.
La crisi dell’identità maschile
Per capire come siamo arrivati qui, dobbiamo fare un passo indietro. I nostri nonni avevano le cose chiare: lavoravi, portavi a casa la pagnotta, sfornavi 4-5 figli, non piangevi mai, e fine della storia. Il copione era scritto, bastava seguirlo.
Poi è arrivato il '68, poi il femminismo, poi la globalizzazione, poi internet, poi la pandemia e quel copione è saltato per aria. Di colpo, il modello del maschio breadwinner-protettore-silenzioso non funzionava più. Le donne sono entrate nel mercato del lavoro, hanno iniziato a guadagnare, a scegliere, a pretendere. Alleluia!
Ma mentre le donne hanno passato decenni a costruire nuove narrazioni - dalle suffragette agli anni '70, dai movimenti per i diritti riproduttivi al #MeToo - noi uomini non siamo stati capaci di scrivere un nuovo copione.
La crisi dell'identità maschile è reale e profonda. Ma invece di affrontarla con maturità, molti hanno scelto la strada più facile: tornare indietro, aggrapparsi a una versione caricaturale del passato, e dare la colpa a tutti gli altri.
Ecco il Turbo Maschilismo: non più la mascolinità tradizionale, ma la sua versione on steroids, amplificata dai social e monetizzata da una nuova generazione di guru del testosterone.
La fabbrica della tossicità
E qui entriamo in un gigantesco business del XXI secolo: vendere insicurezza maschile trasformata in aggressività.
Andrew Tate, Liver King, e tutta la cricca dei venditori di virilità fasulla hanno capito una cosa geniale: se vendi a un uomo spaventato l'illusione di diventare invincibile, quello ti seguirà ovunque. E pagherà anche bene.
"Mangia carne cruda, pompa ferro, fai soldi, scopa più donne possibili, non mostrare mai debolezza." Questo è il vangelo del Turbo Maschilismo. Un cocktail di testosterone e superficialità che promette di trasformarti nel maschio alfa che ogni donna desidera.
Il problema è che funziona. Per loro. Milioni di giovani vedono questi tizi su Instagram con le Lamborghini e le modelle e pensano: "Perché io no?"
Non vedono gli steroidi, le dipendenze, la profonda insicurezza che pulsa sotto quella maschera di sicurezza. Vedono solo la performance. E iniziano a imitarla.
Facendo delle ricerche per questo pezzo, ho visto un sacco di ragazzi persi in questa spirale. Pubblicano o commentano video su "come rimorchiare", trattando le relazioni come un file excel in cui basta “conoscere la formula giusta”, frequentano forum dove "incel" funge da spilletta al merito. È stato abbastanza devastante ma, ho dovuto constatare che questi spazi offrono quello che la società, la scuola, la famiglia (in molti casi) non riescono più a dare: certezze, appartenenza, una spiegazione semplice per problemi complessi.
La manosfera
La "manosphere" - quell’universo maschilista composto di forum, canali YouTube e comunità online - è diventata il rifugio di milioni di uomini spaesati. Non è solo un posto dove si lamentano: è un sistema completo di credenze che ti spiega perché la tua vita fa schifo e cosa devi fare per sistemarla.
MGTOW (Men Going Their Own Way) che predicano il celibato come forma di protesta. Pick-Up Artists che riducono le relazioni a tecniche di manipolazione. Incel che trasformano il rifiuto romantico in odio cosmico. Men's Rights Activists che vedono discriminazioni maschili ovunque.
Tutti accomunati da una narrazione vittimistica che trasforma il disagio personale in guerra ideologica. "Non sei tu il problema, sono loro", ti dicono. "Sei una vittima del femminismo", ti ripetono. "Ecco come riprenderti il controllo", ti promettono.
E funziona perché offre quello che ogni uomo in crisi cerca: un senso di appartenenza quando ti senti solo, dei nemici chiari quando tutto ti sembra confuso, una missione quando ti senti inutile.
Il risultato è una generazione di uomini che invece di guardare dentro di sé punta il dito contro tutto il resto. È colpa delle femministe, delle donne pretenziose, del politicamente corretto. Tutto tranne che ammettere una verità scomoda: forse il problema siamo noi che non sappiamo più chi siamo.
Empathy is a weakness
Essere sensibili è da "beta". Preoccuparsi degli altri è da "simp". Mostrare vulnerabilità è da "femminucce". La capacità di connettersi emotivamente con gli altri è diventata “empatia suicida” nelle parole di Elon Musk, trasformandola in una debolezza da nascondere.
Se però la guardiamo da un’angolazione diversa, dietro l'estetica del Turbo Maschilismo c'è un costo umano crescente di cui si parla poco.
I dati sulla salute mentale maschile sono preoccupanti: tassi di suicidio significativamente più alti, dipendenze in crescita, disturbi dell'umore e dell’alimentazione. E sapete qual è il denominatore comune? L'incapacità di chiedere aiuto, di ammettere fragilità, di provare emozioni.
Il Turbo Maschilismo non solo non risolve questi problemi, li amplifica. Prende uomini già fragili e li convince che la soluzione è diventare ancora più duri, ancora più isolati, ancora più aggressivi.
È un circolo vizioso perfetto: più ti senti debole, più cerchi di apparire forte. Più appari forte, più ti disconnetti da te stesso. Più ti disconnetti, più ti senti debole. E via così, fino al burnout, o peggio, agli orrori del femminicidio.
Intanto, l’industria della tossicità fattura miliardi vendendo integratori miracolosi, corsi di seduzione, programmi di coaching e proteine in polvere. Hanno trasformato il disagio maschile in un business model, creando incentivi economici a perpetuare il problema piuttosto che risolverlo.
Una via d’uscita
Per la prima volta nella storia dell'umanità (sul serio!) abbiamo la possibilità di ripensare completamente la mascolinità. Non dobbiamo più scegliere tra essere sensibili o essere forti. Non dobbiamo più nascondere le emozioni per sembrare "veri maschi". Non dobbiamo più dominare per sentirci importanti.
Ma questo richiede quel pizzico di coraggio per abbandonare le certezze tossiche del Turbo Maschilismo per abbracciare l'incertezza di una mascolinità in costruzione, rispettosa, grata, capace di mettersi di lato quando è necessario.
Se vuoi approfondire sull’argomento ti consiglio questo podcast e questo articolo.
Intervento davvero prezioso su un tema ancora non discusso come meriterebbe..Grazie
Grazie per averne parlato. Se ne parla ancora troppo poco…